Acqua mirabile fiorentina
Fra i tanti pieghevoli che ogni giorno riempiono la cassetta della posta, ho trovato un bando di concorso indetto dall’Officina Farmaceutica di Santa Maria Novella per lanciare un nuovo prodotto ispirato a Firenze. Mi ha colpito per l’originalità del contenuto e perché era indirizzato a Sandra, mia moglie. Chissà perché proprio a lei che non ha alcuna esperienza in materia, mi sono chiesto, e l’ho serbato per mostrarglielo.
Quando ne abbiamo parlato, lei, fra il serio e il faceto, mi ha svelato che quand’era bambina aveva visto, fra i tanti ricordi di famiglia sepolti in soffitta, un foglio che sembrava una ricetta di suo nonno. Incuriositi, siamo saliti a ricercarlo e, per una coincidenza fortunata, lo abbiamo ritrovato fra nuvole polverose di vecchie carte legate in pacchetti a fil di spago: una scrittura di sapore antico su un fondo ingiallito. In effetti, una prima faticosa lettura confermava l’impressione di una ricetta medicinale e si leggevano pure i nomi di quelli che ne sembravano i creatori.
Per farla breve, vi dirò della ricerca che ho fatto negli archivi storici del Comune e in quello di Stato. Non so se per fortuna o per mia felice intuizione sono riuscito a ricostruire la storia di quel foglio, scoprendo che uno degli estensori non era il nonno di Sandra, bensì il nonno del nonno di suo nonno. E di quanto vado a raccontare, anche se la storia ha dell’inverosimile, posso produrre per ogni affermazione una pezza d’appoggio archivistica citando carte, filze e fondi che la supportano.
Il bis-bis-bisavolo Pietro era stato garzone di bottega di tale Zaccaria Profeti, ex gettatello degli Innocenti, che nella vita era riuscito a rilevare una piccola spezieria in via della Scala. Lo sporto si trovava proprio di fronte all’Officina Farmaceutica di Santa Maria Novella che, forte della nuova gestione di Cesare Augusto Stefani, nipote dell’ultimo frate domenicano direttore dell’Officina, godeva come non mai dei favori del pubblico fiorentino e internazionale.
Nel fermento generale del vento napoleonico, lo speziale era convinto che se fosse riuscito a realizzare un medicamento speciale, un rimedio per le truppe francesi in perenne guerra contro il resto del mondo, una specie di quintessenza curativa fiorentina, sarebbe certamente entrato nelle grazie del nuovo sovrano. La fortuna avrebbe girato e lui, e non l’Officina Farmaceutica, sarebbe diventato il fornitore ufficiale di Napoleone.
Si mise d’impegno nel creare il nuovo prodotto, aiutato in questo dal garzone Pietro. Ogni volta la ricetta era aggiustata, modificata e corretta. I due erano quasi giunti al risultato finale, quando la meteora napoleonica sparì e con la Restaurazione ritornò in Toscana il granduca Ferdinando III di Lorena. Lo speziale cadde in disgrazia e di quel toccasana si persero le tracce. Fatto sta che, chissà per quali strane vie, è andato a finire in quel faldone di carte.
Che cosa avrà mai avuto di speciale questa prescrizione curatrice di tutti i mali, vi chiederete ormai curiosi di conoscerne il contenuto? La carta è di difficile lettura per la pessima grafia, ci sono parole cancellate e molte correzioni, in alcuni punti è mancante d’inchiostro. Il linguaggio, a giudicare dai termini, era già antiquato allora; forse era stata ripresa da una ricetta ancor più antica che i due pensavano di aggiustare al gusto del momento. Perciò consentitemi di proporvela in termini più comprensibili e, ciò dicendo, penso di fare un regalo a me prima che a voi.
Il suo nome - non so se provvisorio o se poi intendevano cambiarlo - è Acqua mirabile fiorentina. L’elemento principale che ne giustifica il nome è l’iris, noto – oltre alla sua essenza utilizzata nei profumi – anche per le sue proprietà terapeutiche già elencate da Plinio il Vecchio. Il testo dice:
“Prendi rizomi essiccati di iris, croco, cinnamomo, macis, cubebe, cardamomo, galanga. Di tutte le sopraddette cose pesta nel mortaio cinque once di radici dell’iris e un’oncia ciascuna delle altre. Mettile in infusione in cinque libbre di acqua vita finissima fatta di buonissimo Chianti e accomodala in un alambicco sopra un fornello a vento distillata con fuoco lentissimo. Uscirà un’acqua di colore aureo chiarissimo e seguitando il fuoco cominceranno a uscire certi fumi bianchi e la seconda che uscirà sarà torbida e puzzerà di fumo. Ma la prima acqua è di grandissima virtù, quasi come un balsamo che giova a tutte le infermità del corpo.
” Segue l’elenco dei mali che il potente toccasana riesce a curare e che per brevità di tempo vi risparmio.
Quel particolare bando dell’Officina Farmaceutica ha mosso antichi ricordi e nuove emozioni: forse, sotto sotto, c’è lo zampino dell’avo Pietro. Per il momento abbiamo deciso di partecipare al concorso e se il destino vorrà che quell’acqua mirabile fiorentina sia prodotta a quasi due secoli di distanza dal suo concepimento, sarà mia cura informarvi dello straordinario evento.
Piero Farolfi
Quando ne abbiamo parlato, lei, fra il serio e il faceto, mi ha svelato che quand’era bambina aveva visto, fra i tanti ricordi di famiglia sepolti in soffitta, un foglio che sembrava una ricetta di suo nonno. Incuriositi, siamo saliti a ricercarlo e, per una coincidenza fortunata, lo abbiamo ritrovato fra nuvole polverose di vecchie carte legate in pacchetti a fil di spago: una scrittura di sapore antico su un fondo ingiallito. In effetti, una prima faticosa lettura confermava l’impressione di una ricetta medicinale e si leggevano pure i nomi di quelli che ne sembravano i creatori.
Per farla breve, vi dirò della ricerca che ho fatto negli archivi storici del Comune e in quello di Stato. Non so se per fortuna o per mia felice intuizione sono riuscito a ricostruire la storia di quel foglio, scoprendo che uno degli estensori non era il nonno di Sandra, bensì il nonno del nonno di suo nonno. E di quanto vado a raccontare, anche se la storia ha dell’inverosimile, posso produrre per ogni affermazione una pezza d’appoggio archivistica citando carte, filze e fondi che la supportano.
Il bis-bis-bisavolo Pietro era stato garzone di bottega di tale Zaccaria Profeti, ex gettatello degli Innocenti, che nella vita era riuscito a rilevare una piccola spezieria in via della Scala. Lo sporto si trovava proprio di fronte all’Officina Farmaceutica di Santa Maria Novella che, forte della nuova gestione di Cesare Augusto Stefani, nipote dell’ultimo frate domenicano direttore dell’Officina, godeva come non mai dei favori del pubblico fiorentino e internazionale.
Nel fermento generale del vento napoleonico, lo speziale era convinto che se fosse riuscito a realizzare un medicamento speciale, un rimedio per le truppe francesi in perenne guerra contro il resto del mondo, una specie di quintessenza curativa fiorentina, sarebbe certamente entrato nelle grazie del nuovo sovrano. La fortuna avrebbe girato e lui, e non l’Officina Farmaceutica, sarebbe diventato il fornitore ufficiale di Napoleone.
Si mise d’impegno nel creare il nuovo prodotto, aiutato in questo dal garzone Pietro. Ogni volta la ricetta era aggiustata, modificata e corretta. I due erano quasi giunti al risultato finale, quando la meteora napoleonica sparì e con la Restaurazione ritornò in Toscana il granduca Ferdinando III di Lorena. Lo speziale cadde in disgrazia e di quel toccasana si persero le tracce. Fatto sta che, chissà per quali strane vie, è andato a finire in quel faldone di carte.
Che cosa avrà mai avuto di speciale questa prescrizione curatrice di tutti i mali, vi chiederete ormai curiosi di conoscerne il contenuto? La carta è di difficile lettura per la pessima grafia, ci sono parole cancellate e molte correzioni, in alcuni punti è mancante d’inchiostro. Il linguaggio, a giudicare dai termini, era già antiquato allora; forse era stata ripresa da una ricetta ancor più antica che i due pensavano di aggiustare al gusto del momento. Perciò consentitemi di proporvela in termini più comprensibili e, ciò dicendo, penso di fare un regalo a me prima che a voi.
Il suo nome - non so se provvisorio o se poi intendevano cambiarlo - è Acqua mirabile fiorentina. L’elemento principale che ne giustifica il nome è l’iris, noto – oltre alla sua essenza utilizzata nei profumi – anche per le sue proprietà terapeutiche già elencate da Plinio il Vecchio. Il testo dice:
“Prendi rizomi essiccati di iris, croco, cinnamomo, macis, cubebe, cardamomo, galanga. Di tutte le sopraddette cose pesta nel mortaio cinque once di radici dell’iris e un’oncia ciascuna delle altre. Mettile in infusione in cinque libbre di acqua vita finissima fatta di buonissimo Chianti e accomodala in un alambicco sopra un fornello a vento distillata con fuoco lentissimo. Uscirà un’acqua di colore aureo chiarissimo e seguitando il fuoco cominceranno a uscire certi fumi bianchi e la seconda che uscirà sarà torbida e puzzerà di fumo. Ma la prima acqua è di grandissima virtù, quasi come un balsamo che giova a tutte le infermità del corpo.
” Segue l’elenco dei mali che il potente toccasana riesce a curare e che per brevità di tempo vi risparmio.
Quel particolare bando dell’Officina Farmaceutica ha mosso antichi ricordi e nuove emozioni: forse, sotto sotto, c’è lo zampino dell’avo Pietro. Per il momento abbiamo deciso di partecipare al concorso e se il destino vorrà che quell’acqua mirabile fiorentina sia prodotta a quasi due secoli di distanza dal suo concepimento, sarà mia cura informarvi dello straordinario evento.
Piero Farolfi