La grande neve dell'85

È stato previsto ed è accaduto l’antivigilia dell’Epifania. Guardo la neve fioccare alla luce del lampione filtrata dagli spiragli delle persiane e decido per una levataccia; non voglio sprecare una simile occasione. E’ ancora buio quando giungo al piazzale Michelangelo. Solo, anzi no: siamo io e il David.
«Ciao, David!»
Non nevica più e la luce dei lampioni rimbalza sulla coltre bianca creando strani giochi di chiaroscuro. Luce silenziosa rotta da scricchiolii: un’ombra intabarrata sale per le rampe lasciando passi sulla neve che si perdono nel limbo dei viali.
Comincia ad albeggiare. E’ il momento che attendo. Poggio i gomiti sulla neve della balaustra, trattengo il fiato, e comincio a scattare le prime foto sulla città che si sveglia. La luce del giorno la disegna con forme sempre più definite: un paesaggio in bianco e nero, macchiato solo dal rosso dei mattoni e da scampoli di verde delle piante, si svela ai miei occhi. Che spettacolo.
«Click… click… click…»
Il piazzale pian piano si popola di persone che hanno avuto la mia stessa idea. Scatti per immortalare e immortalarsi in quel mondo sospeso e poter poi dire: «Io c’ero!».
I giorni seguenti cade altra neve che rinforza la prima infarinatura con segni più decisi. La temperatura scende e il ghiaccio s’impadronisce sempre più del paesaggio impreziosendolo di strani arabeschi.
Mi prendo un paio di giorni di vacanza e di stivali per immortalare questo evento straordinario.Torno al piazzale e scatto: il David, la città, un albero per quinta, un lampione sfuocato in primo piano, un dettaglio, un campo lungo.
«Click… click… click…»
Scendo a piedi in città. L’autobus non sale fino a San Gaggio e fa capolinea a Porta Romana.
M’inoltro per le strade del centro, tra vicoli, chiassi e piazzette, fino a piazza Signoria. Fioriere ricamate da candide trine, un pupazzo di neve proprio davanti a Palazzo Vecchio, statue imbiancate che sembrano rabbrividire nelle loro nudità, il Biancone è ricoperto di ghiaccio e gli zampilli d’acqua sono trasformati in artistiche guglie. Se Stendhal si fosse trovato immerso in quella visione, sarebbe stato colpito dalla sua celebre sindrome a maggior ragione.
«Click… click… click…»
Entro da Rivoire.«Una cioccolata calda, grazie.»
Seduto al tavolino, mi godo il contrasto fra il bianco freddo della piazza e i colori caldi dell’interno.
«Click»
Prendo i lungarni fino a piazza Mentana, dove scendo nella rampa che porta in Arno, testimonianza dell’antico attracco fluviale. Nella riva la neve è alta e m’incammino guardingo fin sotto a Ponte Vecchio. Vedo una barca rossa abbandonata fra la neve sotto la vite americana della società canottieri: ottima inquadratura!
«Click»
Raggiungo anche la fontana della Fortezza da Basso per immortalare i suoi zampilli congelati, i cigni che nuotano nel misero specchio d’acqua ancora libero, i piccioni che scivolano nel ghiaccio che imprigiona quasi totalmente la vasca.
«Click… click… click…»
Non rammento quando quel mondo cadde: le favole sono belle per la loro dimensione onirica. Restano quegli scatti che mi ricordano che non è stato un sogno, ma un percorso unico fatto in quei giorni nella magia della Grande Neve.
«Click».
Piero Farolfi
«Ciao, David!»
Non nevica più e la luce dei lampioni rimbalza sulla coltre bianca creando strani giochi di chiaroscuro. Luce silenziosa rotta da scricchiolii: un’ombra intabarrata sale per le rampe lasciando passi sulla neve che si perdono nel limbo dei viali.
Comincia ad albeggiare. E’ il momento che attendo. Poggio i gomiti sulla neve della balaustra, trattengo il fiato, e comincio a scattare le prime foto sulla città che si sveglia. La luce del giorno la disegna con forme sempre più definite: un paesaggio in bianco e nero, macchiato solo dal rosso dei mattoni e da scampoli di verde delle piante, si svela ai miei occhi. Che spettacolo.
«Click… click… click…»
Il piazzale pian piano si popola di persone che hanno avuto la mia stessa idea. Scatti per immortalare e immortalarsi in quel mondo sospeso e poter poi dire: «Io c’ero!».
I giorni seguenti cade altra neve che rinforza la prima infarinatura con segni più decisi. La temperatura scende e il ghiaccio s’impadronisce sempre più del paesaggio impreziosendolo di strani arabeschi.
Mi prendo un paio di giorni di vacanza e di stivali per immortalare questo evento straordinario.Torno al piazzale e scatto: il David, la città, un albero per quinta, un lampione sfuocato in primo piano, un dettaglio, un campo lungo.
«Click… click… click…»
Scendo a piedi in città. L’autobus non sale fino a San Gaggio e fa capolinea a Porta Romana.
M’inoltro per le strade del centro, tra vicoli, chiassi e piazzette, fino a piazza Signoria. Fioriere ricamate da candide trine, un pupazzo di neve proprio davanti a Palazzo Vecchio, statue imbiancate che sembrano rabbrividire nelle loro nudità, il Biancone è ricoperto di ghiaccio e gli zampilli d’acqua sono trasformati in artistiche guglie. Se Stendhal si fosse trovato immerso in quella visione, sarebbe stato colpito dalla sua celebre sindrome a maggior ragione.
«Click… click… click…»
Entro da Rivoire.«Una cioccolata calda, grazie.»
Seduto al tavolino, mi godo il contrasto fra il bianco freddo della piazza e i colori caldi dell’interno.
«Click»
Prendo i lungarni fino a piazza Mentana, dove scendo nella rampa che porta in Arno, testimonianza dell’antico attracco fluviale. Nella riva la neve è alta e m’incammino guardingo fin sotto a Ponte Vecchio. Vedo una barca rossa abbandonata fra la neve sotto la vite americana della società canottieri: ottima inquadratura!
«Click»
Raggiungo anche la fontana della Fortezza da Basso per immortalare i suoi zampilli congelati, i cigni che nuotano nel misero specchio d’acqua ancora libero, i piccioni che scivolano nel ghiaccio che imprigiona quasi totalmente la vasca.
«Click… click… click…»
Non rammento quando quel mondo cadde: le favole sono belle per la loro dimensione onirica. Restano quegli scatti che mi ricordano che non è stato un sogno, ma un percorso unico fatto in quei giorni nella magia della Grande Neve.
«Click».
Piero Farolfi