Facinorosi Pontifici
Storie di briganti e manutengoli (per tacer del prete)
fra Legazioni e Granducato di Toscana
Prefazione
Questa storia comincia là dove le altre finiscono. Sulla stagione passatoresca sono stati versati fiumi d'inchiostro: una sterminata produzione in cui solo pochi studi portano nuovi contributi che, di norma, trattano le gesta della banda del Passatore nella Romagna pontificia esaurendosi con la sua morte.
Mancano notizie del sostrato toscano in cui i briganti si mossero per realizzare le clamorose imprese che tutti sappiamo. Ancor più manca uno studio approfondito su don Pietro Valgimigli soprannominato don Stiffelone, il curato di campagna protagonista della nostra storia. Chi era costui? Un prete giovane, di bell'aspetto, di buona cultura e di forte personalità, con un'attrazione fatale per il rischio, i denari e le donne concupite e sedotte dal suo temperamento. Una vita sopra le righe, purtroppo nel verso sbagliato, vissuta sui contrafforti appenninici della Romagna toscana fino alla morte in luoghi inattesi.
Intorno a lui scorrono le storie parallele di soggetti temibili come il Passatore, Lisagna e Lazzarino, circondati dalla loro corte di fiancheggiatori e manutengoli, in un drammatico periodo segnato dalla recrudescenza del brigantaggio.
Storia originale la sua, che si rivela il fil rouge indispensabile per capire personaggi, fatti e situazioni, altrimenti raccontati e interpretati. Eppure chi si è occupato di lui ha tratteggiato la sua figura in modo superficiale ed episodico.
Michele Zambelli - l’ufficiale che guidò la repressione del brigantaggio per conto del governo pontificio - lo liquidò sbrigativamente ricordando come, a seguito della spiata di un prete, la milizia tese un agguato ai briganti nella sua canonica. Cesarino fu ucciso, ma Lazzarino riuscì a fuggire. E quel prete, temendone la vendetta, «si rifugiò a Marradi». Ma, lo vedremo, non andò così.
Neppure Francesco Serantini - che ripulì le gesta del Passatore dall’alone agiografico che le aveva fino allora caratterizzate - la racconta giusta. Egli fa sua la versione di Antonio Sassi – altro studioso del Pelloni – che reputa «molto scrupoloso». In realtà il Sassi nel narrare i fatti sbaglia doppiamente: lo indica come Pietro, agiato possidente della montagna modiglianese costretto a ricettare i briganti per quieto vivere e lo paragona al manzoniano don Abbondio. Ma il nostro arciprete era uno che non le mandava a dire.
Anche Leonida Costa - che ci ha lasciato un importante contributo sul Passatore - quando parla di don Valgimigli si limita a riprendere il racconto del Sassi mettendone, però, in dubbio l'attendibilità.
Buone indicazioni le fornisce Pellegrino Artusi - l’autore del celebre trattato «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» - che lo riconobbe fra i saccheggiatori della sua abitazione durante l'invasione di Forlimpopoli affermando che «costui non poteva essere altri che l'infame prete Valgimigli».
Lo stesso don Giovanni Verità - il prete che salvò la vita a Garibaldi - non si sorprese su quel che don Natale Graziani, all’epoca parroco di S. Giorgio in Rosata, gli diceva su don Pietro, commentando che «uno scellerato da par suo non può che fare opere che gli assomigliano».
Molti autori, quando ne parlano, cadono nello stereotipo del prete costretto ad agire suo malgrado. Solo pochi ne approfondiscono la figura ponendosi il dubbio di una sua diretta partecipazione alle loro azioni criminali. È stato detto che le autorità pontificie abbiano distrutto i documenti relativi al coinvolgimento dei religiosi col brigantaggio. È vero che quando, in seguito, anche da Firenze richiesero agli archivi di Rocca e Modigliana i fascicoli che lo riguardavano - e don Pietro era ancora in vita - li trovarono quasi vuoti e chi insistette fu invitato a soprassedere. É perciò plausibile un intervento ecclesiastico mirato a eliminare le tracce di complicità pure nel Granducato.
L’analisi bibliografica evidenzia che le ricerche finora svolte risentono dei limiti delle fonti storiografiche provenienti nel loro complesso dagli archivi della Romagna pontificia e, quindi, con una visione parziale dei fatti. Fatti che ci proponiamo di raccontare da una prospettiva toscana. Li ricostruiremo con nomi, dettagli e gesti che a volte potrebbero sembrare ridondanti, ma che, invece, ci aiutano a rappresentare (e capire) l'atmosfera dell'epoca e l'aspra quotidianità nella terra di confine che era la Romagna di quei tempi.
Riassumeremo le notizie utili a inquadrare i personaggi e le vicende per una migliore comprensione della nostra storia che inizia quando la banda del Passatore, pressata dalle truppe austro-pontificie, sconfina nel Granducato per cercare nuovi rifugi.
Racconteremo l’organizzazione del brigantaggio nelle Romagne, le imprese del Passatore, di Lisagna e Lazzarino, le bande minori che prosperavano in questo clima di paura, i momenti di collaborazione e di contrasto fra i due Stati. Esporremo il punto di vista della burocrazia leopoldina che classificava genericamente questi personaggi come facinorosi pontifici e che rappresentano, con la vicenda umana di don Pietro, il sale della storia che andiamo a raccontare.
L’originalità di questa ricerca - un'indagine durata oltre vent'anni - sta nel proporre una rilettura granducale dei fatti con l'analisi di una gran mole di documenti inediti ritrovati negli archivi toscani, in primis nell’Archivio di Stato di Firenze, che vanno a integrare quelli già noti presenti negli archivi dell'Emilia-Romagna, anch'essi riconsultati per avere la certezza, ove possibile, delle fonti primarie. Completano il lavoro le appendici di approfondimento e una selezione di immagini e documenti. Per facilitare la consultazione riportiamo a piè di pagina le note di contenuto, al termine dei capitoli i riferimenti bibliografici, in fondo al libro le fonti inedite e la bibliografia.
Per quanto riguarda don Pietro Valgimigli, oltre all'Archivio di Stato di Firenze - in cui fra i tanti documenti ne abbiamo rintracciato uno davvero eccezionale: un poderoso faldone di carte processuali che è stato una miniera di notizie - lo abbiamo seguito nelle sue vicissitudini: l'Archivio Comunale di Modigliana, dove nacque e fu battezzato; l'Archivio Diocesano Faenza-Modigliana, quello Vescovile di Fiesole e quello Parrocchiale di San Lorenzo a Rinfrena nello svolgersi della sua vita ecclesiastica; gli Archivi Storici Ecclesiastici di Cortona dove si concluse la sua avventurosa vita.
Un confronto incrociato che aiuta alla comprensione del brigantaggio in quella terra di confine che erano le Romagne durante il periodo che va dalla seconda restaurazione realizzata sotto la protezione delle baionette austriache fino alla partenza di Leopoldo II dal Granducato di Toscana.
La speranza è che questo contributo, che apporta nuove conoscenze grazie al notevole apparato di fonti primarie, giovi a ulteriori studi. Saremo i primi a rallegrarcene.
Mancano notizie del sostrato toscano in cui i briganti si mossero per realizzare le clamorose imprese che tutti sappiamo. Ancor più manca uno studio approfondito su don Pietro Valgimigli soprannominato don Stiffelone, il curato di campagna protagonista della nostra storia. Chi era costui? Un prete giovane, di bell'aspetto, di buona cultura e di forte personalità, con un'attrazione fatale per il rischio, i denari e le donne concupite e sedotte dal suo temperamento. Una vita sopra le righe, purtroppo nel verso sbagliato, vissuta sui contrafforti appenninici della Romagna toscana fino alla morte in luoghi inattesi.
Intorno a lui scorrono le storie parallele di soggetti temibili come il Passatore, Lisagna e Lazzarino, circondati dalla loro corte di fiancheggiatori e manutengoli, in un drammatico periodo segnato dalla recrudescenza del brigantaggio.
Storia originale la sua, che si rivela il fil rouge indispensabile per capire personaggi, fatti e situazioni, altrimenti raccontati e interpretati. Eppure chi si è occupato di lui ha tratteggiato la sua figura in modo superficiale ed episodico.
Michele Zambelli - l’ufficiale che guidò la repressione del brigantaggio per conto del governo pontificio - lo liquidò sbrigativamente ricordando come, a seguito della spiata di un prete, la milizia tese un agguato ai briganti nella sua canonica. Cesarino fu ucciso, ma Lazzarino riuscì a fuggire. E quel prete, temendone la vendetta, «si rifugiò a Marradi». Ma, lo vedremo, non andò così.
Neppure Francesco Serantini - che ripulì le gesta del Passatore dall’alone agiografico che le aveva fino allora caratterizzate - la racconta giusta. Egli fa sua la versione di Antonio Sassi – altro studioso del Pelloni – che reputa «molto scrupoloso». In realtà il Sassi nel narrare i fatti sbaglia doppiamente: lo indica come Pietro, agiato possidente della montagna modiglianese costretto a ricettare i briganti per quieto vivere e lo paragona al manzoniano don Abbondio. Ma il nostro arciprete era uno che non le mandava a dire.
Anche Leonida Costa - che ci ha lasciato un importante contributo sul Passatore - quando parla di don Valgimigli si limita a riprendere il racconto del Sassi mettendone, però, in dubbio l'attendibilità.
Buone indicazioni le fornisce Pellegrino Artusi - l’autore del celebre trattato «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» - che lo riconobbe fra i saccheggiatori della sua abitazione durante l'invasione di Forlimpopoli affermando che «costui non poteva essere altri che l'infame prete Valgimigli».
Lo stesso don Giovanni Verità - il prete che salvò la vita a Garibaldi - non si sorprese su quel che don Natale Graziani, all’epoca parroco di S. Giorgio in Rosata, gli diceva su don Pietro, commentando che «uno scellerato da par suo non può che fare opere che gli assomigliano».
Molti autori, quando ne parlano, cadono nello stereotipo del prete costretto ad agire suo malgrado. Solo pochi ne approfondiscono la figura ponendosi il dubbio di una sua diretta partecipazione alle loro azioni criminali. È stato detto che le autorità pontificie abbiano distrutto i documenti relativi al coinvolgimento dei religiosi col brigantaggio. È vero che quando, in seguito, anche da Firenze richiesero agli archivi di Rocca e Modigliana i fascicoli che lo riguardavano - e don Pietro era ancora in vita - li trovarono quasi vuoti e chi insistette fu invitato a soprassedere. É perciò plausibile un intervento ecclesiastico mirato a eliminare le tracce di complicità pure nel Granducato.
L’analisi bibliografica evidenzia che le ricerche finora svolte risentono dei limiti delle fonti storiografiche provenienti nel loro complesso dagli archivi della Romagna pontificia e, quindi, con una visione parziale dei fatti. Fatti che ci proponiamo di raccontare da una prospettiva toscana. Li ricostruiremo con nomi, dettagli e gesti che a volte potrebbero sembrare ridondanti, ma che, invece, ci aiutano a rappresentare (e capire) l'atmosfera dell'epoca e l'aspra quotidianità nella terra di confine che era la Romagna di quei tempi.
Riassumeremo le notizie utili a inquadrare i personaggi e le vicende per una migliore comprensione della nostra storia che inizia quando la banda del Passatore, pressata dalle truppe austro-pontificie, sconfina nel Granducato per cercare nuovi rifugi.
Racconteremo l’organizzazione del brigantaggio nelle Romagne, le imprese del Passatore, di Lisagna e Lazzarino, le bande minori che prosperavano in questo clima di paura, i momenti di collaborazione e di contrasto fra i due Stati. Esporremo il punto di vista della burocrazia leopoldina che classificava genericamente questi personaggi come facinorosi pontifici e che rappresentano, con la vicenda umana di don Pietro, il sale della storia che andiamo a raccontare.
L’originalità di questa ricerca - un'indagine durata oltre vent'anni - sta nel proporre una rilettura granducale dei fatti con l'analisi di una gran mole di documenti inediti ritrovati negli archivi toscani, in primis nell’Archivio di Stato di Firenze, che vanno a integrare quelli già noti presenti negli archivi dell'Emilia-Romagna, anch'essi riconsultati per avere la certezza, ove possibile, delle fonti primarie. Completano il lavoro le appendici di approfondimento e una selezione di immagini e documenti. Per facilitare la consultazione riportiamo a piè di pagina le note di contenuto, al termine dei capitoli i riferimenti bibliografici, in fondo al libro le fonti inedite e la bibliografia.
Per quanto riguarda don Pietro Valgimigli, oltre all'Archivio di Stato di Firenze - in cui fra i tanti documenti ne abbiamo rintracciato uno davvero eccezionale: un poderoso faldone di carte processuali che è stato una miniera di notizie - lo abbiamo seguito nelle sue vicissitudini: l'Archivio Comunale di Modigliana, dove nacque e fu battezzato; l'Archivio Diocesano Faenza-Modigliana, quello Vescovile di Fiesole e quello Parrocchiale di San Lorenzo a Rinfrena nello svolgersi della sua vita ecclesiastica; gli Archivi Storici Ecclesiastici di Cortona dove si concluse la sua avventurosa vita.
Un confronto incrociato che aiuta alla comprensione del brigantaggio in quella terra di confine che erano le Romagne durante il periodo che va dalla seconda restaurazione realizzata sotto la protezione delle baionette austriache fino alla partenza di Leopoldo II dal Granducato di Toscana.
La speranza è che questo contributo, che apporta nuove conoscenze grazie al notevole apparato di fonti primarie, giovi a ulteriori studi. Saremo i primi a rallegrarcene.