Ponte medievale della Maestà: bufala o verità?
Amarcord. Mi ricordo che quando ero bambino – siamo negli anni sessanta del secolo scorso – i turisti che giungevano a Portico erano accolti da un cartello che diceva: «Visitate il Ponte della Maestà. Sec. 1300». Proprio così: non secolo XIII, ma secolo 1300. Ci fu chi fece notare il madornale errore e subito qualcuno grattò il secolo con un raspino e al momento rimase solo 1300. Ma si sa che una lamiera esposta alle intemperie si ossida velocemente e così, dopo poco tempo, il secolo arrugginito era ancora più evidente e il cartello fu rimosso e sostituito da un altro che diceva: Secolo XIII. Ma il ponte risale davvero a quell’epoca?
Un opuscolo turistico di qualche anno fa parlava di «un ponte a schiena d'asino di origine romana».
Un sito internet dedicato alla Romagna toscana, confessa che «la data di costruzione di questo ponte rimane un mistero, perché alcuni documenti riportano la data del 1328 mentre altre testimonianze rimandano al Medioevo».
L'autorevole guida del Touring Club in un'edizione del 1971 lo definiva «un vecchio ponte sul Montone» senza sbilanciarsi in una qualche data di costruzione. Ma nell’edizione web aggiornata del 2023 lo definisce «uno dei tanti ponti a schiena d'asino di origine medievale dell'Appennino Romagnolo».
C’è anche il «frammento storico» di un documento notarile del 1336 ricopiato nel 1930 dall’allora impiegato comunale Olinto Guerrini che affermava che il ponte della Maestà era stato costruito nel 1321 e la chiesina della Maestà tre anni prima, nel 1318. Ma l’originale di questo documento non è mai stato ritrovato.
Ma una mia ricerca storica nell’Archivio di Stato di Firenze ha scoperto la vera data di costruzione del ponte della Maestà realizzato nel 1696 dai Brenti, «muratori lombardi» che scesero in Romagna e si stabilirono a Tredozio e a Portico. Qui costruirono molti ponti: fra questi il Ponte della Maestà, il ponte della Brusia e altri ponti della Romagna fiorentina.
E quando costruirono il ponte della Maestà dichiararono che «dove si fece detto ponte non si conosceva vi fosse stato ponte di sasso, perché non vi trovammo vestigia di veruna sorte».
Quindi l’affermazione che il ponte della Maestà sia di origine medievale è una «bufala» o, come si usa dire oggi, una «fake news», nata forse per tanto affetto verso il ponte, ma che la verifica di fonti primarie ha smitizzato. Un ponte che è parte del nostro patrimonio culturale e di saperi costruttivi ormai perduti e noi abbiamo l’obbligo di coltivarne la memoria e preservare per le future generazioni.
I recenti disastri naturali che hanno colpito la Romagna con morti, esondazioni e allagamenti, frane e smottamenti, ponti crollati e strade collassate, hanno mostrato la fragilità degli ambienti in cui viviamo e che dobbiamo rispettare per tutelarne la bellezza e la nostra sicurezza.
Riscopriamo l’attenzione e la cura che la Magistratura fiorentina di Parte Guelfa, con i suoi Ufficiali dei fiumi, e le comunità locali dedicavano alla loro terra.
Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento questo studio è pubblicato sul libro PONTI DI PIETRA edito su AMAZON.
È il risultato è un’approfondita ricerca storico-fotografica, ricca d’immagini di ieri e di oggi e di documenti originali, che ha richiesto tempo, pazienza e passione.
Uno studio che ha permesso di riportare alla luce vicende che rappresentano pezzi – a volte non ancora del tutto rimossi o risolti – della nostra identità.
Un opuscolo turistico di qualche anno fa parlava di «un ponte a schiena d'asino di origine romana».
Un sito internet dedicato alla Romagna toscana, confessa che «la data di costruzione di questo ponte rimane un mistero, perché alcuni documenti riportano la data del 1328 mentre altre testimonianze rimandano al Medioevo».
L'autorevole guida del Touring Club in un'edizione del 1971 lo definiva «un vecchio ponte sul Montone» senza sbilanciarsi in una qualche data di costruzione. Ma nell’edizione web aggiornata del 2023 lo definisce «uno dei tanti ponti a schiena d'asino di origine medievale dell'Appennino Romagnolo».
C’è anche il «frammento storico» di un documento notarile del 1336 ricopiato nel 1930 dall’allora impiegato comunale Olinto Guerrini che affermava che il ponte della Maestà era stato costruito nel 1321 e la chiesina della Maestà tre anni prima, nel 1318. Ma l’originale di questo documento non è mai stato ritrovato.
Ma una mia ricerca storica nell’Archivio di Stato di Firenze ha scoperto la vera data di costruzione del ponte della Maestà realizzato nel 1696 dai Brenti, «muratori lombardi» che scesero in Romagna e si stabilirono a Tredozio e a Portico. Qui costruirono molti ponti: fra questi il Ponte della Maestà, il ponte della Brusia e altri ponti della Romagna fiorentina.
E quando costruirono il ponte della Maestà dichiararono che «dove si fece detto ponte non si conosceva vi fosse stato ponte di sasso, perché non vi trovammo vestigia di veruna sorte».
Quindi l’affermazione che il ponte della Maestà sia di origine medievale è una «bufala» o, come si usa dire oggi, una «fake news», nata forse per tanto affetto verso il ponte, ma che la verifica di fonti primarie ha smitizzato. Un ponte che è parte del nostro patrimonio culturale e di saperi costruttivi ormai perduti e noi abbiamo l’obbligo di coltivarne la memoria e preservare per le future generazioni.
I recenti disastri naturali che hanno colpito la Romagna con morti, esondazioni e allagamenti, frane e smottamenti, ponti crollati e strade collassate, hanno mostrato la fragilità degli ambienti in cui viviamo e che dobbiamo rispettare per tutelarne la bellezza e la nostra sicurezza.
Riscopriamo l’attenzione e la cura che la Magistratura fiorentina di Parte Guelfa, con i suoi Ufficiali dei fiumi, e le comunità locali dedicavano alla loro terra.
Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento questo studio è pubblicato sul libro PONTI DI PIETRA edito su AMAZON.
È il risultato è un’approfondita ricerca storico-fotografica, ricca d’immagini di ieri e di oggi e di documenti originali, che ha richiesto tempo, pazienza e passione.
Uno studio che ha permesso di riportare alla luce vicende che rappresentano pezzi – a volte non ancora del tutto rimossi o risolti – della nostra identità.