Da Russi partì un drappello eterogeneo composto da gendarmi, soldati e sussidiari volontari agli ordini del brigadiere Achille Battistini e del caporale Giacinto Calandri. Giunti al paretaio, dopo una diversione per ingannare il Passatore, circondarono il casotto. Il Battistini si avvicinò alla finestra, ma dall’interno partirono due colpi che lo ferirono gravemente; il sottufficiale morì dopo tre giorni di atroci patimenti. I militari risposero con una scarica di fucileria.
Il Passatore e Giazzolo uscirono di corsa sparando e fidando del poco tempo che gli altri avevano per ricaricare il fucile. Il primo fu ucciso. Il secondo, benché ferito, riuscì a fuggire. È storia raccontata che il Pelloni riconobbe in Apollinare Fantini l’uomo che otto anni prima l’aveva arrestato e rinchiuso nelle carceri di Russi. Gli sparò mancandolo e l’altro rispose svelto e preciso colpendolo alla schiena. Il Passatore stramazzò al suolo. Subito gli fu sopra il caporale Calandri che gli tirò un colpo a bruciapelo alla testa. Grande fu la polemica su questo secondo colpo che si disse dato senza necessità, ma solo per acquisire meriti nella distribuzione di onori e premi; i sussidiari non volevano dividere il premio con nessun altro e si rifiutarono di sottoscrivere il verbale dello scontro. In realtà, il referto del medico fiscale riconobbe come unica ferita letale quella riscontrata al capo.
Seguì il contrasto fra il governatore Felici e lo Zambelli che si appropriò del cadavere con tutti i denari e oggetti preziosi che aveva indosso, e non erano poca cosa; lo caricò su un barroccio e lo portò in giro per la Romagna per esibirlo alla popolazione. Finalmente, la notte fra il 26 e il 27 marzo, il Passatore fu seppellito nel cimitero comunale di Bologna, in un recinto appartato detto il Campo dei Traditori. Di questa macabra esposizione riferì il sottoprefetto di Rocca:
«Il cadavere del Passatore fu immediatamente trasportato a Forlì; ieri mattina si tenne per due ore esposto nella pubblica piazza, dove il concorso degli spettatori fu numerosissimo, e s’inviò quindi a Faenza, con l’intenzione di farlo passare a Imola, e Bologna, essendo determinato che in ciascheduna di dette città si effettuasse una eguale esposizione.»
Le varie Gazzette riportarono il fatto e ne parlò anche Il fischietto, giornale satirico piemontese che ironizzò sulla sua esposizione: «Che si fa a Roma quando si canonizza un nuovo cittadino del calendario? Si porta in processione il suo cadavere. Ebbene, che altro si fa da tanti giorni in Romagna, che portare processionalmente di villaggio in villaggio, di città in città, il cadavere del martire Passatore?»
Il commissario straordinario pontificio si affrettò a distribuire i 3.000 scudi di premio e le onorificenze ai militari distinti nello scontro. Fece «speciale testimonianza di lode e di pubblica riconoscenza» al governatore di Russi per rabbonirlo dopo il contrasto sorto fra lui e lo Zambelli e assegnò «una medaglia d’onore al vicebrigadiere Battistini «che, tutto ferito, pure inanimò coraggioso e ben diresse i compagni», un'altra al sussidiario Fantini «che primo atterrò il famigerato assassino» e un'altra ancora al caporale Calandri Giacinto «che lo rese cadavere nel punto che si rialzava a più disperata difesa» polemizzando con «quelli, che sulla inerzia od inettitudine de’ funzionari e de’ militi nostri troppo ingiustamente irridevano». Secondo i suoi calcoli, il Passatore aveva causato 23 morti nelle truppe austro-pontificie: «13 nei gendarmi, 5 nella linea indigena, 2 nei sussidiari, e 3 fra le I. R. Truppe».
La notizia arrivò subito in Toscana. Il 24 marzo, lunedì, giorno del mercato settimanale a Marradi, le persone provenienti dalla Bassa raccontarono l’avvenimento. Come al solito, la storia si gonfiava strada facendo e così i marradesi vennero a sapere che il Passatore era stato ucciso «mentre stava mangiando in un casotto di paretaio nei pressi di Russi in unione ad altri quattro suoi compagni». Nello scontro era rimasto «estinto il Passatore stesso ed altro suo compagno, cadendo gli altri più o meno feriti in potere della Forza, la quale peraltro deplora la perdita di un maresciallo e di un brigadiere». Lo stesso delegato ammise che il fatto si raccontava «in varie guise». Secondo il delegato di Scarperia nello scontro erano rimasti «uccisi sul luogo della mischia, un maresciallo, e due gendarmi dalla parte del governo, ed il temuto Passatore, ed un suo compagno per la parte dei malfattori». Il comandante del reggimento di gendarmeria toscana riferì che alcuni asserivano «che il Pelloni vistosi attorniato e nell’impossibilità di salvarsi si uccise con le proprie mani».
Le continue perlustrazioni che andavano a colpo sicuro dietro le precise indicazioni dei pentiti, le bastonature a chi non collaborava, gli arresti, le fucilazioni che proseguivano a ritmo serrato e, per ultimo, l’uccisione del Passatore, dettero un duro colpo al brigantaggio. La rete di manutengoli su cui i briganti fondavano la loro imprendibilità era crollata. In quel momento difficile ognuno doveva pensare per sé. Quelli che ripararono in Toscana si divisero in due bande: la prima era formata da Giuseppe Afflitti Lazzarino, Giuseppe Zanelli Cesarino, Domenico Sabbatani Ghigno e Alfredo Panzavolta l’Innamorato; la seconda da Angiolo Lama Lisagna, Pietro Bertoni Spigone, Antonio Ravaioli il Calabrese, Giuseppe Morigi l’Incantato; Felice Scheda l’Anguillone, si era eclissato per conto suo.
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